OPERE COME BRANI DI CULTURA ORIENTALE
Quando vidi le opere di Paola Fabbri ricordai un brano del Daodejing:
“Si ha un bel riunire trenta raggi in un mozzo,
l’utilità della vettura dipende da ciò che non c’è.
Si ha un bel lavorare l’argilla per fare vasellame,
l’utilità del vasellame dipende da ciò che non c’è.
Si ha un bel aprire porte e finestre per fare una casa,
l’utilità della casa dipende da ciò che non c’è.
Così, traendo partito da ciò che è, si utilizza quello che non c’è”.
Le sue opere sono dei brani di cultura orientale, il mito, il simbolo, l’estetica del vuoto pieno.
Ha influito molto nella sua formazione artistica le letture degli scritti di Ananda K. Coomaraswamy che spese una vita per trovare delle similitudini tra la metafisica di Platone, Nietzsche e Heidegger e gli antichi filosofi indiani.
Personalmente penso che il pensiero orientale sia stato l’incubatore del migliore pensiero occidentale e lo apprezzeremo meglio in futuro.
Per tornare a Paola nel Rigveda il non-essere è il nulla ricco di cose, l’opposto del niente platonico.
Oggi noi sappiamo, grazie alle scoperte della fisica quantistica, che il vuoto è pieno. Ecco nelle sue opere così apparentemente minimaliste e vuote dovete guardare ed immaginare cosa c’è oltre il dipinto.
Troverete un mondo pieno di emozioni.
Pietro Franesi – International art curator
UN VIAGGIO PROFONDO
Non è semplice avvicinarsi all’arte della pittrice Fabbri Vasari, che attraversa il linguaggio espressivo offerto dalla pittura in maniera intimista e colta. L’appiglio teorico a cui si radica la ricerca e la produzione della nostra artista è quella di stampo orientale e che trova nelle teorie dello storico dell’arte indiano Ananda K. Coomaraswamy il precipuo fondamento.
Nell’unione tra arte orientale ed occidentale, la Fabbri Vasari si pone quale baluardo di una riscoperta che si traduca in universalità di pensiero, non già di cultura, ma capace, in ogni caso, di (ri)trovare punti di contatto che , in verità, in tempi remoti, sono già esistiti. La coesione che la pittrice vuole portare nelle sue opere è frutto di momenti esperiti, unici e che ella traduce con l’ausilio di simbologie che si trasformano in un ponte tra due mondi opposti.
Ogni lavoro della Fabbri Vasari è una sorta di evocazione, ragionata trasposizione di una sensazione provata, di una parte del proprio io che torna a galla, emblema dell’essere in sè. Forte la contaminazione con le istanze filosofiche del Tai Chi, cui molto l’artista deve in termini di raffigurazione e conoscenza interiore.
Il viaggio profondo, infatti, che la pittrice compie, trasforma l’atto maieutico in momento catartico che si fa essenza di quello che Ananda K. Coomaraswamy definiva, e con lui la Fabbri Vasari, un “rito metafisico”.
Nel gioco intellettuale che si apre dinanzi ai lavori dell’artista, emblematica è la semiotica di realizzazione.
Come accade per Séraphin, si presenta una tela su cui al centro è posta una parola. Dinanzi a tale essenzialità l’artista ha meditato e attraversato il proprio ego. Il fruitore si porrà dinanzi all’opera, ragionerà sull’immagine e l’evocazione del termine, in viaggio alla scoperta del sè. L’icona sarà solo il medium per scendere in profondità mentre le parole dell’artista accompagnano in questo viatico, costruito su archetipi ed essenziali nodi delle nostre esistenze.
Dott. Azzurra Immediato – Curatrice
RICERCA TRA COLORE, FORMA E SPAZIALITÀ
La ricerca tra colore, forma e spazialità è una costante di questa artista. In questo rigore, apparentemente formale, si esplicitano esigenze compositive e di obiettività estetiche.
Il quadro “Séraphin” è una ben riuscita sintesi tra “ascoltare e vedere”: la trascendenza che si coglie nella trama delle geometrie cromatiche si coniuga con l’ascolto, in simultanea, di musiche sacre che ne sublimano il significato (la luce abbagliante degli arcangeli) nella sua perfezione evocativa e spirituale.
Prof. Franchino Falsetti – Critico d’arte